La luce in fondo al tunnel è un treno

Credo che la metafora del tunnel si sia diffusa così tanto tra le persone per la sua capacità di dare forma ad uno stato d’animo che noi stessi, spesso, non comprendiamo appieno. Lo potremmo descrivere in vari modi, ma ci sembra che invece di esternarlo lo stiamo banalizzando e semplificando. Nella nostra mente invece l’immagine del tunnel è perfetta: cos’è la vita se non un tunnel buio e sudicio in cui non troviamo la strada? Ci muoviamo coraggiosi, perché non ci accontentiamo dell’oscurità, ma più camminiamo più ci addentriamo nella galleria, perdendoci.

Poi a un certo punto la vediamo: la luce. Debolissima, lontana, sembra che stia per spegnersi da un momento all’altro. Sentiamo quel bisogno irrefrenabile di averla. Corriamo, sempre più veloci, sfidando i nostri limiti, cerchiamo di esprimere tutti noi stessi e anche di più, perché l’ordinario non ci basta, noi vogliamo l’eccezionale! E corriamo, corriamo, corriamo. Il nostro cuore canta, l’eccitazione per quel che stiamo creando è alle stelle, ci commuoviamo, perché sentiamo che quella luce è in realtà noi stesso nella nostra forma più pura, pulita dai vizi e dalla sporcizia del mondo.

Talvolta l’entusiasmo non dura. Talvolta corriamo, corriamo, ma quella luce fioca sembra irraggiungibile, distante, e allora ci fermiamo a pensare. Ma siamo sicuri che quella luce è veramente ciò che crediamo? Forse è un miraggio, ce la stiamo immaginando. O forse esiste, ma è al di là della nostra portata, irraggiungibile. Noi la cerchiamo, la rincorriamo, quando magari stiamo solo consumando la nostra esistenza inutilmente. E alla fine la nostra tenacia viene schiacciata dai dubbi. Ci fermiamo, imprechiamo contro noi stessi, sentiamo il vuoto dentro di noi di quando non abbiamo uno scopo, un qualcosa da raggiungere, e abbandoniamo la luce. Tornando a brancolare nel buio, lasciando che l’oscurità ci soffochi a poco a poco fingendo di cullarci.

Altre volte quella luce semplicemente sparisce. Smettiamo di vederla, senza un motivo apparente. Dentro di noi è peggio di una pugnalata al petto. Non vogliamo crederci: cerchiamo di ritrovarla, ci guardiamo intorno freneticamente, abbiamo bisogno di ritrovarla. Lei però non compare, ci ha lasciati soli con la nostra disperazione. Piangiamo, ci lasciamo andare, sentiamo il dolore prendere possessso di noi. È un pianto violento il nostro, abbiamo perso tutto, il fato ci sta sbeffeggiando, ci lascia in vita anche se non abbiamo nulla per cui valga la pena vivere. Di nuovo soli, al buio, sempre più deboli, ci gettiamo nuovamente tra le braccia dell’oscurità, cercando la consolazione nell’oblio.

C’è un ultimo caso da considerare. Ci sono delle volte, rarissime, dove quella luce la possiamo raggiungere. È il coronamento della nostra fatica, la prova che i nostri sbagli, le nostre sofferenze, la nostra ricerca, nulla di questo è stato vano. Non abbiamo inseguito un miraggio, non abbiamo perso il sentiero, siamo quasi arrivati, e sembra quasi che la luce ci stia venendo incontro. È fatta, nulla può strapparci questo successo. Nulla tranne la luce stessa. Perché più ci avviciniamo più realizziamo che quella debole luce che vedevamo è diventata un treno in corsa, e noi stiamo sui binari.

L’impatto è talmente violento che neanche ce ne accorgiamo. Le ruote ci passano sopra schiacciandoci, riusciamo a sentire i singoli vagoni correre sopra il nostro addome e il nostro torace; la testa è andata fuori uso quando si è scontrata con la locomotiva. Non quantifichiamo il tempo passato lì sotto, potrebbe essere un secondo come un anno intero. La scena è troppo assurda perché possa essere studiata con uno strumento razionale come la misura. Per noi quel tempo è come se non esistesse.

Alla fine anche il treno, come tutto il resto, non è che una cosa passeggera. Restiamo soli sui binari, al buio, di nuovo. Non riusciamo a muoverci, il cervello non ragiona. Quando finalmente recuperiamo un po’ delle nostre facoltà mentali dentro di noi non c’è più nemmeno il dolore. Le emozioni sono sparite, la nostra personalità è appassita. Non ci è rimasto più nulla. Un guscio vuoto, ecco cosa siamo. Ormai sconfitti, ci leviamo il cappello dinanzi al fato: la battaglia è finita, e noi abbiamo perso.

Ci rialziamo a fatica, doloranti. Le gambe ci reggono appena, non riusciamo a camminare. Ci guardiamo attorno. Niente più treno, niente più luce, niente più noi. L’oscurità è tornata a reclamare il suo regno.

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